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reefaddict
Scopro solo ora, al tuo nono calotipo, questo thread e ti faccio tutti i miei complimenti: sei riuscito ad affascinarmi e a farmi provare sensazioni che forse sono simili a quelle che provò il tuo quasi omonimo predecessore.

enrico
QUOTE(reefaddict @ Feb 5 2007, 02:50 PM) *

Scopro solo ora, al tuo nono calotipo, questo thread e ti faccio tutti i miei complimenti: sei riuscito ad affascinarmi e a farmi provare sensazioni che forse sono simili a quelle che provò il tuo quasi omonimo predecessore.


Ti ringrazio.
Mentre digito sulla tastiera, fuori in giardino è in esposizione il decimo. Questa volta ho usato un cartoncino da disegno più spesso e l'ho lavato con acqua corrente per asportarne la colla, prima di sensibilizzarlo. Spero di riuscire ad ottenere così una stesa uniforme e continua.
Un saluto
Enrico
Riccardo S.
Ciao Enrico,

una curiosità: come ti sei regolato per la scelta dei tempi di esposizione? ti sei rifatto agli esperimenti di Talbot, usando i tempi che lui dichiarava, o sei riuscito a calcolare esattamente la relazione tra materiale sensibile e tempo di espozione, in questo caso si potrebbe avere una stima di ISO equivalenti? (sto dicendo una fesseria? spero non sia troppo grossa!)

R.

ironic
non ho parole!!!!

grazie.gif
ph34r.gif blink.gif

solo tanta, immensa ammirazione.... guru.gif

un grande!!!!
enrico
QUOTE(Riccardo S. @ Feb 5 2007, 03:10 PM) *

Ciao Enrico,

una curiosità: come ti sei regolato per la scelta dei tempi di esposizione? ti sei rifatto agli esperimenti di Talbot, usando i tempi che lui dichiarava, o sei riuscito a calcolare esattamente la relazione tra materiale sensibile e tempo di espozione, in questo caso si potrebbe avere una stima di ISO equivalenti? (sto dicendo una fesseria? spero non sia troppo grossa!)

R.


Grazie Ironic.

Riccardo,
per l'esposizione, poiché ho letto che Talbot impiegava da un'ora a due ore in pieno sole, ho fatto delle prove. Anche perché non conosco la luminosità delle sue "trappole". La mia l'ho diaframmata ad f/5,6 per ridurre le aberrazioni. Poichè la lunghezza focale del mio obiettivo artigianale è di 16,7 cm (100 cm / 6 diottrie), ho praticato in un disco di cartone, che antepongo alla lente frontale dell'obiettivo, un foro di 3 cm di diametro (16,7 cm diviso 5,6). La prima prova doveva servirmi soprattutto per avere una indicazione di massima sull'esposizione. Visto che un'ora mi dava una immagine sottoesposta, ho raddoppiato il tempo. Ora, in pieno sole uso dalle due ore ad un'ora e mezza. Il calotipo che sto riprendendo adesso ha per soggetto degli annaffiatoi ed una poltroncina, che non sono in pieno sole. Ho quindi dato una esposizione di 3 ore. Debbo procurarmi dello ioduro di potassio da usare al posto del cloruro di sodio. Trattando la carta con questo nuovo sale e col solito nitrato d'argento, si produce ioduro d'argento che è più sensibile del cloruro, per cui dovrei far scendere i tempi. Di quanto? Anche qui occorreranno delle prove. Per i valori ISO, si potrebbe fare. Tieni presente che ho effettuato una ripresa col tempo di un'ora e mezza (sempre ad f/5,6) La D200 mi dava per la stessa scena, 1/400 di sec ad f/8 ed a 400 ISO. Da questi dati si può ricavare un valore ISO della carta che sarà ovviamente un numero molto piccolo.
Un saluto.
Enrico
Riccardo S.
Grazie per la risposta Enrico, vedrò di fare due conti con calma.

Approfitto della tua disponibilità per chiederti un'altra curiosità: tu adesso usi photoshop per rendere positivo il tuo calotipo scansionato, volendo farlo in maniera "analogica" come dovresti operare? Ovvero come procedeva Talbot per ottere il positivo?

R.
enrico
QUOTE(Riccardo S. @ Feb 5 2007, 05:09 PM) *

Grazie per la risposta Enrico, vedrò di fare due conti con calma.

Approfitto della tua disponibilità per chiederti un'altra curiosità: tu adesso usi photoshop per rendere positivo il tuo calotipo scansionato, volendo farlo in maniera "analogica" come dovresti operare? Ovvero come procedeva Talbot per ottere il positivo?

R.


Talbot all'inizio "stabilizzava" il negativo immergendolo in una soluzione forte di sale da cucina. In pratica. lo rendeva meno sensibile alla luce. Quel tanto che gli permetteva di fare una esposizione per contatto con un altro foglio di carta ed ottenere quindi un positivo. Si trattava soltanto di una stabilizzazione perchè, anche se più lentamente, col tempo anneriva lasciando scomparire l'immagine, in quanto il cloruro d'argento non esposto, rimaneva nell'emulsione. Successivamente, su consiglio di Herschel, il noto scienziato , utilizzò l'iposolfito di sodio ( quello che si usa tutt'oggi) che invece asporta gli alogenuri non colpiti dalla luce e rende l'immagine stabile.
Prima di lui, Niepce era riuscito a registrare l'immagine della camera oscura (la finestra della sua casa di campagna con una voliera), ma non era stato capace di fissarla (stesso problema che interruppe le ricerche di Wegdwood). Vedeva come un insuccesso il fatto che le luci apparissero nere e le ombre bianche e si dedicò alla ricerca di una sostanza che sotto la luce divenisse bianca. La trovò nel bitume di giudea e riuscì a produrre quella che è considerata la prima fotografia della storia, anche se il tempo di posa di 8 ore e la pessima qualità del risultato fecero terminare lì gli esperimenti. I libri dicono che a Niepce non balenò l'idea del processo negativo/positivo. Io penso invece che, se pur l'idea gli venne in mente, non potè realizzarla proprio perchè non trovò il metodo di stabilizzare l'immagine. Se avesse posto il suo negativo su di un foglio di carta sensibilizzata, all'esposizione alla luce, si sarebbe annerito prima che sul positivo si fosse prodotta la minima traccia dell'immagine.
Si, uso Photoshop per convertire il negativo in positivo. Con la scansione, mi assicuro di non perdere la prova. Un primo tentativo di fissaggio non è andato a buon fine. Mi riprometto di seguire tutto il procedimento di Talbot, dalla stabilizzazione con il cloruro fino al controtipo, ma quest'estate quando avrò più tempo a disposizione. Ho estratto dopo 3 ore il decimo calotipo e... neppur la minima traccia di annerimento. Come se il nuovo cartoncino da disegno non avesse assorbito la benché minima soluzione. Eppure l'ho lavato sotto il rubinetto per asportare eventuale colla, prima di sensibilizzarlo. Credo che mi convenga fare delle prove in piena luce per arrivare ad un metodo e trovare un materiale che mi assicuri bontà e costanza di risultati.
Un saluto
ENrico
Un saluto
Enrico
apeiron
Enrico, questa cosa sta diventando sempre più interessante. Ormai, qui, abbiamo un appuntamento fisso con te.
Apeiron
enrico
QUOTE(apeiron @ Feb 5 2007, 06:02 PM) *

Enrico, questa cosa sta diventando sempre più interessante. Ormai, qui, abbiamo un appuntamento fisso con te.
Apeiron


Ne sono contento Apeiron. Sono contento per due motivi, per il lavoro che sto portando avanti che mi entusiasma, e per la consapevolezza di avere tanti amici che mi seguono in questa avventura.
Grazie a tutti, è come se stessi lavorando insieme a voi.
Enrico
enrico
Allora,
Riccardo mi ha fatto xxx la curiosità e mi sono messo a calcolare il valore ISo della mia carta calotipica.
Sono partito da questi dati, relativi ad una ripresa (il secondo calotipo, riusciti ben esposto:
f/5,6 ad un'ora e mezza, pari a 90 minuti e cioè 540 secondi

Contemporaneamente, i dati exif della D200 con la quale avevo fotografato la stessa scena, mi davano f/8, 1/400 di secondo ISO 400

Per pareggiare l'apertura, con f/5,6 e sempre 1/400 di secondo, avrei dovuto impostare gli ISO della digitale a 200

Con excel ho impostato due colonne: la prima lungo la quale il tempo veniva raddoppiato di casella in casella; la seconda lungo la quale gli ISO venivano dimezzati ugualmente di casella in casella.

Ad un tempo di esposizione di 540 secondi corisponde corca un valore di 0,001 ISO. Se non ho sbagliato qualcosa, la mia carta deve avere una sensibilità di un centesimo di ISO ohmy.gif
Un saluto
Enrico

Ho fatto qualche errore di battitura, scusate, ma sono tornato or ora da una seduta dal dentista...
.oesse.
enrico, ti sto seguendo con molto interesse...ti ammiro in silenzio. Impallidisco alla tenacia con cui affronti questo passo indietro nei tempi, quasi alla ricerca di un ingrediente perduto. Mi piace la filosofia con cui vivi i tuoi esperimenti e la tua determinazione nel portarli avanti.
Ecco... solo questo. Volevo farti i miei piu' sentiti complimenti ad alta voce perche' credo che questo tuo spirito nella ricerca (e nella riprova) sia da standing ovation.
Grazie

.oesse.
enrico
QUOTE(.oesse. @ Feb 5 2007, 07:44 PM) *

enrico, ti sto seguendo con molto interesse...ti ammiro in silenzio. Impallidisco alla tenacia con cui affronti questo passo indietro nei tempi, quasi alla ricerca di un ingrediente perduto. Mi piace la filosofia con cui vivi i tuoi esperimenti e la tua determinazione nel portarli avanti.
Ecco... solo questo. Volevo farti i miei piu' sentiti complimenti ad alta voce perche' credo che questo tuo spirito nella ricerca (e nella riprova) sia da standing ovation.
Grazie

.oesse.


Grazie oesse, grazie di cuore.
Enrico
enrico
Sto risistemando il mio progetto della macchina per calotipi, al fine di metterlo a disposizione in formato pdf.
Intanto, nell'attesa del prossimo calotipo, vi fornisco qualche informazione sull'obiettivo, il primo elemento che ho costruito ed in base al quale ho disegnato il resto della macchina:
L’obiettivo è formato da due lenti da occhiali (menisco convergente) da 3 diottrie ciascuna. In totale fanno 6 diottrie. La lunghezza focale di tale sistema è di 16,7 cm.
Infatti la diottria è l’inverso della lunghezza focale: D = 1 / F ed F = 1 / D;
1 / 6 fa 0,166666 metri, pari a 16,7 centimetri. Se avessi utilizzato solo una lente da 3 diottrie, la lunghezza focale dell’obiettivo sarebbe stata di 33,3 cm. Avrei dovuto allontanare del doppio la lente dal piano di messa a fuoco e, poiché il diametro della stessa era sempre di 6 cm utili, avrei avuto meno luminosità ed una macchina più ingombrante.

Il formato della carta è di circa 13 x 14 cm.
La diagonale è quindi di 19 cm.
L’angolo di campo è di 60° [2 arctan (19/2) / 16,7 ].
Poiché la diagonale del formato 35 mm è di 4,3 cm, la mia macchina per calotipi ha una focale 35 mm equivalente pari ad un 38 mm.
Accipicchia, è un grandangolo! ohmy.gif
Enrico

A causa dei due anelli (anteriore e posteriore) fissati all’interno del barilotto di cartone per bloccare le due lenti, il diametro effettivo si è ridotto a 60 mm
Ne consegue che, a tutta apertura (senza dischi di cartoncino) il valore è esattamente f/2,8 (6 cm / 16,7 cm)
Per ottenere un’apertura f/4 occorre un disco di cartoncino con un foro del diametro di 41,7 mm
Per un’f/5,6 occorre un foro di 30,0mm
Per un f/8 occorre un foro di 20,8 mm
Non conviene usare diaframmi più chiusi perché il tempo di esposizione diverrebbe eccessivo.

Correggo, non (6 cm / 16,7 cm) ma (16,7 cm / 6 cm).
.oesse.
QUOTE(enrico @ Feb 5 2007, 08:04 PM) *

Grazie oesse, grazie di cuore.
Enrico


sono io che ringrazio te enrico. e davvero di cuore.

.oesse.
enrico
Cari amici,
già vi ho detto che il decimo calotipo è stato un fallimento: nessuna immagine dopo un lungo tempo di esposizione.
Questa mattina ho sensibilizzato un altro foglio di carta: lavaggio in acqua corrente per eliminarne la colla, stesa della soluzione di sale da cucina, quindi asciugatura con il phon. Stesa quindi della soluzione di nitrato d'argento e nuova asciugatura, questa volta tenendo il phon distante perché pensavo che le irregolarità potessero dipendere dalle gobbe della carta bagnata e dall'azione dell'aria calda che poteva soffiare via la seconda soluzione dai dossi. Ho inserito la carta nello chassì ed ho avviato l'esposizione. Intanto ho preparato della nuova carta e, poichè avevo lezione alle 10, ho proceduto in fretta, asciugando sommariamente la carta dopo la prima soluzione, e spennellando la seconda. Ho messo la carta dentro uno scatolone in cantina ed ho lasciato che si asciugasse da sé. Poi, di corsa a scuola.
Tornato a casa dopo quattro ore, ho aperto lo chassì e... seconda delusione mad.gif . Niente di niente. La prima ipotesi che mi è venuta, considerato che in entrambi i casi i soggetti erano in ombra, è stata quella di un notevole "difetto di reciprocità", per cui era necessario, per ottenere buoni risultati, lavorare in pieno sole. Oltretutto, il cielo si è ricoperto di nuvole già nella tarda mattinata. Ho comunque ricaricato lo chassì con la carta che avevo preparato in mattinata e che nel frattempo si era asciugata ed ho ripreso la finestra dall'interno della camera da letto.
Nell'attesa, sono uscito sul terrazzino per portare alla luce l'undicesimo calotipo, così come avevo fatto ieri per il decimo, al fine di vedere se si anneriva (e quindi si trattava di un problema di esposizione) o non si anneriva (e forse c'era qualcosa che non andava nei bagni, ma cosa? hmmm.gif ). Prima di portare all'aperto il 10° calotipo, ho voluto provare a risensibilizzarlo, spennellando del cloruro di sodio e, senza aspettare che asciugasse, del nitrato... tanto era solo una prova.
Il risultato era che la carta si era scurita in misura ridotta, nonostante le molte ore di esposizione alla luce del giorno, mentre dove avevo ripassato le soluzioni, si era formato un nero pieno. Che vuol dire?
Ecco il decimo calotipo:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

L'esposizione alla luce dell'11° calotipo (che non avevo ritrattato col pennello) mi dava un altro risultato: scarso annerimento, tranne che in alcuni punti dove erano presenti delle macchie molto scure.

ed ecco l'undicesimo:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Credo di aver capito smile.gif . La mia ipotesi è che la seconda soluzione agisce bene solo se la prima non è asciutta completamente. Immaginavo che il cloruro di sodio, che anche se asciutto si trova fra le fibre della carta, avrebbe reagito normalmente con il nitrato. Anche perché su diversi libri ho letto che Talbot lasciava asciugare la carta dopo ogni trattamento. Ma forse non bisogna fidarsi troppo di quello che si legge nei libri. La mia teoria potrebbe cogliere nel segno, visti i risultati ottenuti col 10° e con l'11° calotipo. Quelle macchie scure, potrebbero essere le zone dove la prima soluzione non si è asciugata completamente al momento del trattamento con la seconda. Nei primi calotipi in effetti, non aspettavo troppo prima di passare la seconda soluzione.
Domani provo con questa procedura:
lavo la carta in acqua corrente e la faccio sgocciolare. Poi passo la soluzione di nitrato d'argento (questa volta passo prima il nitrato perchè così non corro il rischio di inquinare questa soluzione che è certo molto più costosa del sale da cucina; ho preparato 120 ml di soluzione e di volta in volta ne verso in un bicchiere di plastica una quantità per 2 o tre calotipi).
Senza aspettare che asciugi troppo, passo la soluzione di sale da cucina.
Staremo a vedere hmmm.gif

Intanto ho estratto il dodicesimo calotipo dalla macchina, dopo una esposizione di 2 ore e 35 minuti. E' un po' sottoesposta, ma si tratta di un interno...

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

L'immagine c'è, e ci sono anche le macchie di cui, forse, ho capito la ragione. Non mi piace la struttura di questa carta da disegno. L'ho presa perchè è spessa e rigida e le pieghe, una volta bagnata, sono ridotte, ma ha una grana troppo grossa.
Vado avanti con gli esperimenti, non demordo. Devo arrivare ad ottenere un calotipo perfettamente nitido, senza macchie e con una buona gamma tonale.
Un saluto
Enrico
stefanocucco
guru.gif [size=7] Che impegno, che pazienza, ma soprattutto che passione!!
perrins
QUOTE(enrico @ Feb 6 2007, 05:39 PM) *

Vado avanti con gli esperimenti, non demordo. Devo arrivare ad ottenere un calotipo perfettamente nitido, senza macchie e con una buona gamma tonale.


Ce la farai, ne sono certo!
Ti seguo ogni giorno, stamattina ho dato l'esame di chimica, è bello vedere che "tutto torna" smile.gif

Sei il migliore texano.gif
enrico
Grazie Stefano, grazie Perrins.
Enrico
enrico
Come promesso, vi metto a disposizione il progetto della macchina per calotipi, un po' risistemato perchè i disegni li avevo fatti per la costruzione, quindi a mio uso e non prevedevo di distribuirli. Sono in dimensioni reali (scala 1 : 1). Ora mi sto dedicando a risolvere i problemi di ordine chimico; per la costruzione della macchina, mi sono divertito a risolvere quelli di tipo ottico. Ho annerito l'interno con inchiostro di china, perchè è risultato più opaco della vernice.
maurizioricceri
Grazie Enrico per condividere con noi questo tuo lavoro che progredisce in modo veramente strabiliante ,ottenendo dei risultati accellenti e grazie anche per il pdf( letto,salvato e stampato) .
Buon lavoro...GENIO ( in modo amichevole wink.gif )
Maurizio
davidebaroni
Enrico, come ti ho già scritto in privato, questo tuo esperimento mi affascina tantissimo, e ti ringrazio infinitamente per la tua passione e per condividere questa avventura con noi. smile.gif
Mi dispiace non avere le conoscenze di chimica (o di qualsiasi altra cosa) che sarebbero necessarie per poter portare un contributo attivo. Ma non dubito che te la caverai perfettamente SENZA il mio aiuto... laugh.gif

Un viaggio davvero affascinante.

E un commento da perfetto ignorante... Non sarà che la colla che tu cerchi così coscienziosamente di eliminare sia invece proprio ciò che "assorbe" e fissa la soluzione nella carta? hmmm.gif

Per fortuna non ho paura a sparare cavolate immani... Trovo che sia un ottimo sistema per imparare. Alla peggio, mi si corregge, e io imparo. biggrin.gif

Davide
ludofox
Rimango a bocca aperta di fronte a tutto questo.

Enrico carissimo, ...passione, ...cultura, ...manualità, ...Un racconto appassionante ed un thread prezioso.

...Da mettere in evidenza.
enrico
Ciao Maurizio, ciao Ludofox e grazie per la vostra presenza in questo tread.

QUOTE(twinsouls @ Feb 7 2007, 12:33 AM) *


E un commento da perfetto ignorante... Non sarà che la colla che tu cerchi così coscienziosamente di eliminare sia invece proprio ciò che "assorbe" e fissa la soluzione nella carta? hmmm.gif


Ciao Davide,
mai nessuna ipotesi è da scartare. Cerco di eliminare la colla perchè "dovrebbe" ostacolare in qualche misura l'assorbimento delle soluzioni, ma tutto può essere huh.gif
Comunque oggi cercherò di verificare la mia ipotesi. Quelle macchie dell'11° calotipo troverebbero spiegazione con la presenza del primo bagno non ancora asciutto. La loro forma si adatta alle "fossette" ed alle pieghe che assume la carta una volta bagnata, e questo mi fa propendere per l'ipotesi che ho formulato. Ma la risposta ce la daranno le prove che mi accingo a fare. Se quello che penso è giusto, dovrei guadagnare anche un po' in sensibilità. Se fai caso al 12° calotipo, dove l'immagine è presente, sulla destra c'è una macchia molto intensa. Dovrebbe essere la densità di tutta l'immagine (le parti più scure) se faccio venire a contatto le due soluzioni quando sono ancora umide.
Vi saprò dire.
Buona giornata
Enrico

Mi viene da fare una riflessione:
se fosse andato tutto liscio, primo,secondo, decimo calotipo tutti perfetti, non sarebbe stato un po' noioso?
ludofox
QUOTE(enrico @ Feb 7 2007, 07:15 AM) *

...se fosse andato tutto liscio, primo,secondo, decimo calotipo tutti perfetti, non sarebbe stato un po' noioso?
...Sarebbe mancata l'emozione della conquista, del raggiungimento di un obiettivo, ...quanto è vero ciò che dici!
toad
Enrico, anche io ti seguo silenzioso ed ammirato. E mi viene spontanea una considerazione: sono anche i thread come questo che danno un vero valore culturale aggiunto al nostro Forum.
grazie.gif
enrico
Cari amici,
questa mattina mi sono recato presso un negozio di articoli per belle arti ed ho acquistato un grosso foglio di carta per acquerello. La carta per acquerello, ho pensato, deve essere fatta apposta per assorbire i colori e quindi andrà altrettanto bene per le mie soluzioni chimiche. Si tratta di carta satinata di pura cellulosa, bella consistente (300 grammi al metro quadro), con collatura alla gelatina. Ne ho tratto 20 rettangoli per la mia macchina. Poi ho provato a sensibilizzarne uno, seguendo il procedimento che mi ero proposto: l'ho bagnata e lasciata asciugare all'aria, quindi ho passato per prima la soluzione di nitrato d'argento, spennellandola poi con quella contenente il sale da cucina. Si è immediatamente formato un precipitato bianco e granuloso di cloruro d'argento, visibile ad occhio nudo, e ne è rimasto impregnato anche il pennello. Ho messo la carta ad asciugare in una scatola, coperta appena da un cartone in maniera che circolasse aria. Quando sono tornato a prenderla per inserirla nello chassì, mi son reso conto che non era utilizzabile. Si era scurita (mia moglie era entrata in cantina accendendo la luce? blink.gif ) e si presentava irregolare e granulosa. La carta è rimasta alla luce ed ha continuato a scurirsi.

Ho allora fatto una prova. Su di un avanzo di carta, ho passato a sinistra prima il cloruro di sodio e poi il nitrato d'argento (come ho fatto fin'ora), ed a destra prima il nitrato d'argento e poi il sale da cucina (il contrario).

Osservando il risultato, mi sono convinto a continuare come ho sempre fatto, salvo a non attendere che la prima soluzione asciughi completamente.

Ho voluto fare un'altra prova. Ho passato la soluzione con il cloruro di sodio su di un altro foglio di carta. Quando il foglio era ancora umido (il velo di liquido era scomparso, ma la superficie non si era ancora asciutta), procedendo a lume di candela alla maniera di Talbot (ho fatto urtare inavvertitamente la lampadina rossa che si è rotta), ho passato la soluzione di nitrato d'argento. Ho asciugato lentamente con phon ed ho esposto il foglio alla luce.

L'annerimento è uniforme, tranne qualche traccia che tradisce l'andamento delle pennellate.
Se domani c'è il sole, faccio una prova con la camera oscura.
Un saluto
Enrico
enrico
Una riflessione: ho un grosso vantaggio in questa esperienza. Anche se incontro qualche difficoltà, so che raggiungere un buon risultato è possibile, perchè altri ci sono riusciti prima di me.
Per raggiungere un obiettivo bisogna crederci. E Talbot, Daguerre ci credevano. Niepce si lasciò scoraggiare dai risultati ottenuti con l'argento e si rivolse al bitume di Giudea, un vicolo cieco. Prima di lui Wegdwood abbandonò le ricerche sul nitrato d'argento. Ma ciascuno fece avanzare di un piccolo passo la ricerca. Non ricordo chi ha detto che non è il singolo uomo a fare una scoperta, ma l'umanità. Vale a dire che, quando i tempi sono maturi per una invenzione, ci sarà qualcuno che la farà. E spesso persone diverse, di località differenti e che non si sono mai viste, raggiungono risultati simili quasi contemporaneamente. La stessa cosa è successa con la Fotografia. In maniera indipendente e per vie diverse, agli inizi dell'800 Daguerre e Bayard (di cui poco si parla) in Francia e Talbot in Inghilterra diedero vita ad un antico sogno.
Ho letto proprio ieri di un episodio storico gustoso che mi piace riportarvi, a proposito dei tempi di posa necessari quando la Fotografia faceva i primi passi:
Nel 1840 il Mining Journal riportava una disposizione: "All'inaugurazione della ferrovia di Courtrai, in Belgio, la camera oscura dev'essere sistemata in un punto dal quale domini il palco reale, la locomotiva, i vagoni e la parte principale del corteo, e dovrà venir messa in azione nel momento stesso in cui verrà pronunciato il discorso inaugurale. Un colpo di cannone darà il segnale d'inizio e tutti dovranno restare immobili per sette minuti , cioé il tempo necessario per ottenere una buona immagine di tutte le personalità presenti".
Sette minuti:con la mia macchina calotipica, per adesso... un sogno! rolleyes.gif
Ho ritrovato in soffitta un obiettivo di una vecchia macchina di mio padre:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

sul barilotto è scritto: "Simplex Rapid Aplanat N. 3". C'è un diaframma regolabile, ma non ci sono i numeri f/, solo dei valori di riferimento: 1 - 2 - 3 - 4. A 4 corrisponde la massima apertura.
Un saluto
Enrico
enrico
Cari amici,
oggi ho costruito una scatola per l'asciugatura della carta senza dover usare il phon. Ho utilizzato del cartoncino nero. Il coperchio è più largo di tra cm per lato ed è più alto (6 cm contro 4 cm) del fondo. Sui lati ho praticato 6 aperture rettangolari, ripiegandone all'interno il battenti, così che servissero anche a mantenere il coperchio uniformemente centrato. All'interno il buio è assicurato ed è assicurata anche la necessaria circolazione dell'aria.
Poichè un bel sole si è fatto largo fra le nuvole, ho realizzato un tredicesimo calotipo. Ho capito che la scena deve essere ben illuminata ed il contrasto deve essere elevato. Questo perché il mio materiale sensibile è una carta ad annerimento diretto: mano a mano che l'immagine si forma, l'annerimento che ne deriva fa da maschera agli alogenuri sottostanti. Dopo una esposizione di 2 ore e 20 minuti, ecco il risultato:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Ancora non siamo al traguardo. Domani acquisterò dello ioduro di potassio che userò al posto del cloruro di sodio. Lo ioduro d'argento è più sensibile del cloruro. Vediamo anche se migliora la qualità. Staremo a vedere.
A presto
Enrico
perrins
QUOTE(enrico @ Feb 8 2007, 05:29 PM) *

Ancora non siamo al traguardo.


però i miglioramenti sono incredibile!
facendo scorrere i vari calotipi e osservando l'aumento dei dettagli tutto questo risulta incredibile!

smile.gif

PS: un giorno, però, un ritratto dovresti provare a farlo! anche se credo che il problema più che il tempo di posa sia la quantità di luce che il/la povero/a modello/a avrà in faccia ! cool.gif
enrico
QUOTE(perrins87 @ Feb 8 2007, 06:35 PM) *

PS: un giorno, però, un ritratto dovresti provare a farlo! anche se credo che il problema più che il tempo di posa sia la quantità di luce che il/la povero/a modello/a avrà in faccia ! cool.gif


Non è impossibile. Utilizzando lo ioduro d'argento al posto del cloruro d'argento e soprattutto rinunziando all'annerimento diretto, e sviluppando l'immagine latente, credo che la posa necessaria possa ridursi a qualche minuto o meno. Per seguire il procedimento di Talbot (se usassi le carte moderne o gli attuali sviluppi, falserei lo spirito di questa ricerca), dovrei trovare l'acido gallico. Talbot, dopo i primi tentativi che sto ripetendo (e che chiamò "disegni fotogenici", procedette così:
stendeva una soluzione di nitrato d'argento su della carta da lettere di buona qualità, la faceva asciugare e la immergeva in una soluzione di ioduro di potassio. La faceva asciugare di nuovo. Quindi la trattava con una soluzione di nitrato d'argento, acido acetico ed acido gallico diluito. Esponeva il foglio di carta nella camera oscura e lo sviluppava poi con una soluzione di acido gallico e nitrato d'argento (che chiamò gallonitrato d'argento). Durante questo nuovo tipo di esperimenti, cambiò il nome dei suoi lavori da "disegni fotogenici" a "calotipi" ed infine in Talbotipi.
Daguerre e Talbot ebbero fortuna, perchè scoprirono la possibilità di sviluppare l'immagine latente. Il primo mediante i vapori di mercurio ed il secondo mediante, appunto, l'acido gallico.
L'acido gallico veniva estratto dalle galle e dalla pianta di sommacco ed era usato nella concia. Come ho già avuto modo di dire, sembra che l'idea di usare l'acido gallico non fosse sua ma l'avesse appresa dal reverendo reade. In ogni caso è sua la scoperta dell'immagine latente e della capacità dell'acido gallico di svilupparla. Reade lo usava solo per aumentare la sensibilità della carta.
A presto
Enrico

P.S. Tieni presente, per quanto riguarda la nitidezza, che le immagini che sto realizzando sono ottenute tramite una camera oscura che mi sono autocostruito e che l'obiettivo è composto da due menischi. E' affetto quindi da ogni tipo di aberrazione, che ho cercato di attenuare mediante l'uso di un diaframma che, però, mi limita la luce.
Se osservi l'immagine, vedrai che è sufficientemente nitida al centro (non ho ancora inventato l'autofocus biggrin.gif ), mentre è fuori fuoco in periferia. E questo è colpa di una aberrazione che si chiama "curvatura di campo".
giampy71_io
Ciao a tutti e complimenti ad enrico non vedo l'ora di vedere i tuoi progressi:-) complimenti:-)
enrico
QUOTE(giampy71_io @ Feb 9 2007, 12:05 PM) *

Ciao a tutti e complimenti ad enrico non vedo l'ora di vedere i tuoi progressi:-) complimenti:-)


Grazie Giampy,
proprio questa mattina sono stato in un negozio di chimica dove si riforniscono i laboratori di analisi. Poiché non avevano pronto lo ioduro di potassio, l'ho ordinato. Ho poi chiesto se era ancora reperibile l'acido gallico. La risposta è stata affermativa, un po' costosetto ma esiste. Durante le vacanze estive (se non prima), mi dedicherò allo sviluppo dell'immagine latente del calotipo, mettendo da parte l'annerimento diretto. Credo che costruirò un'altra macchina, di formato più grande, e vi applicherò l'obiettivo che ho trovato in soffitta e di cui ho parlato qualche post precedente. Otterrò risultati otticamente migliori (d'altra parte Talbot non si costruiva gli obiettivi ma se li faceva fare dall'ottico; per la verità non si costruiva nemmeno le macchine, che faceva fare dal suo falegname...).
Credo che allora potrò pensare a qualche ritratto wink.gif
Tornando all'obiettivo di mio padre, è privo di otturatore. Su di un vecchio libro di fotografia del 1925 leggo un brano che per me è interessantissimo e che vi riporto:
"Il più elementare è sempre l'otturatore a coperchio, un disco con bordo che si adatta al tubo dell'obiettivo. Si toglie e si rimette con la mano - pure in tal manovra bisogna usare certe precauzioni, e conoscere vari effetti dei modi di apertura per sapersi regolare nei casi. - Convien quindi non far muovere la macchina facendo tale manovra: così, adagio adagio toglierlo, finché d'un tratto si scopra l'apertura. Passato il tempo di posa lo si rimette a posto. Per poco che si esamini il movimento che si fa, si osserva che scoprendo l'obbiettivo abbassando il coperchio e rimettendolo nello stesso senso, viene a darsi alla parte inferiore della lastra una durata maggiore di posa, poiché la prima a scoprirsi e l'ultima a ricoprirsi è la parte superiore della lente. Nel paesaggio invece conviene dare una posa maggiore al terreno che al cielo, così converrà alzare il coperchio dal basso in alto."
Oggi è nuvolo e piove, niente calotipi mad.gif
Un saluto
Enrico
perrins
QUOTE(enrico @ Feb 9 2007, 02:05 PM) *

"Per poco che si esamini il movimento che si fa, si osserva che scoprendo l'obbiettivo abbassando il coperchio e rimettendolo nello stesso senso, viene a darsi alla parte inferiore della lastra una durata maggiore di posa, poiché la prima a scoprirsi e l'ultima a ricoprirsi è la parte superiore della lente. Nel paesaggio invece conviene dare una posa maggiore al terreno che al cielo, così converrà alzare il coperchio dal basso in alto."


E' qualcosa di incredibile, al di fuori di ogni immaginario per chi ha usato, per poco tempo, i rullini nella contax di papà e le "sue" foto le fa da poco in digitale!
enrico
QUOTE(perrins87 @ Feb 10 2007, 01:11 AM) *
E' qualcosa di incredibile, al di fuori di ogni immaginario per chi ha usato, per poco tempo, i rullini nella contax di papà e le "sue" foto le fa da poco in digitale!


Si, affascina e stupisce. Il cielo dell'Abruzzo continua ad essere coperto di nuvole, quindi niente calotipi. Sto facendo però delle prove, nell'attesa che arrivi lo ioduro di potassio. Sto intanto rileggendomi il manuale "Fotografia per dilettanti" la cui quinta edizione risale al 1901. Io ho la nona del 1925. Continuo a riferirvi degli otturatori, resisi necessari con l'uso della gelatina e del bromuro d'argento che permise di scendere con i tempi al di sotto del secondo.
Fino a poco tempo fa credevo che gli otturatori a tendina fossero una invenzione relativamente recente. E invece... ohmy.gif

"L'otturatore a cortina è costituito da una sottile, e talvolta sottilissima fenditura praticata in una tendina che score velocemente dinanzi alla lastra, ed a brevissima distanza da essa, e ne diamo il disegno che facilmente fa intendere il sistema che è ormai generalizzato:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

La fenditura può graduarsi, allargarsi o restringersi sino ad un mezzo millimetro, e potendo darsi alla tendina una velocità che può ragguagliarsi fino a metri due e mezzo per secondo, è evidente la straordinaria rapidità della posa data alla lastra da quel mezzo millimetro che le passa innanzi così velocemente! Veniamo ora agli otturatori di obiettivi che sono ancora i più comuni. In tutte le gallerie fotografiche si veggono gli otturatori Guerry, una specie di scatoletta posta alla bocca dell'obiettivo, che ha uno sportellino che si alza per effetto della pressione d'aria che si fa su d'una pera di gomma. Tale artifizio permette d'ottenere l'apertura dell'obbiettivo in modo da non impressionare il soggetto che viene a farsi il ritratto; hmmm.gif

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

invece di uno sportellino ve ne sono talora due e, col loro alternativo aprire e chiudersi rendono possibili pose assai brevi, di un quinto di secondo. La disposizione dei due battenti permette altresì di dare una posa maggiore al terreno che al cielo.
Otturatore a ghigliottina- Sotto questo formidabile nome si nasconde il più inoffensivo degli otturatori, il più semplice, il prediletto, diciamolo pure, dai valenti istantaneisti, e che noi suggeriamo senz'altro al dilettante. Non si può immaginare cosa più semplice. Tutto si riduca a far cadere, per effetto del proprio peso o per effetto di un elastico o molla per accelerare il movimento, uno schermo di legno, cartone, o metallo che abbia un'apertura, permettendo così all'immagine, durante un brevissimo spazio di tempo, d'imprimersi sulla lastra sensibile.
IPB Immagine

Visti i tempi di esposizione che per i miei calotipi si aggirano sulle due ore, per me questo è il futuro! laugh.gif
Buona domenica
Enrico
enrico
Oggi ho fatto qualche scatto con la D200. Ma al vetro smerigliato della macchina per calotipi smile.gif
Lo scopo è stato quello di fare qualche considerazioni sul mio obiettivo, composto da due menischi convergenti da 3 diottrie ciascuno, e quindi soggetto a molte aberrazioni.
Il mio obiettivo a tutta apertura, corrispondente ad un f/4:

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Il fuoco di questa e delle immagini che seguono, è sul travertino posto in cima al muretto. L'immagine è di pessima qualità e la sua "nebbiosità" è dovuta soprattutto all'aberrazione sferica (i raggi che passano in prossimità del centro della lente, vengono a fuoco in punti diversi rispetto a quelli che passano in prossimità dei bordi). Il mio è quindi un obiettivo a fuoco morbido, forse adatto per i ritratti biggrin.gif Di certo, i difetti della pelle scomparirebbero, ma si vedrebbe poco anche della modella.

Obiettivo con anteposto un diaframma pari ad un f/8:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

La nitidezza è migliorata parecchio. Tenete conto che il fuoco è ancora sul muretto, per cui il fabbricato risulta sfuocato. Si nota la presenza dell'aberrazione cromatica, specie al confine fra il tetto ed il cielo. La granulosità del vetro smerigliato è più evidente.

Diaframma f/5,6. Il fuoco è al centro del muro. La distorsione di campo (Il fuoco di punti posti nella realtà su di una superficie piana, cade su di una superficie curva, così che non è possibile tenere contemporaneamente a fuoco il centro ed i bordi), è visibile perchè il travertino è nitido al centro e sfuocato sui bordi:

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Ho quindi focheggiato in modo da avere a fuoco i bordi destro e sinistro del muro. Il risultato è che ora è fuori fuoco il centro:

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Credo che attraverso una esperienza di questo genere, si possa ricavar molto da un punto di vista didattico, da trasferire nei corsi di fotografia dove spesso si parla di aberrazioni dandone solo la definizione.

Sto sensibilizzando il cartoncino per acquerelli e, ancora una volta, senza che abbia preso luce, ha iniziato a scurirsi. Avevo notato la stessa cosa qualche giorno fa. Immagino a questo punto che debba esserci qualche sostanza nel cartoncino, che abbia proprietà riducenti sul cloruro d'argento. hmmm.gif
Enrico
enrico
QUOTE(enrico @ Feb 11 2007, 02:08 PM) *
Sto sensibilizzando il cartoncino per acquerelli e, ancora una volta, senza che abbia preso luce, ha iniziato a scurirsi. Avevo notato la stessa cosa qualche giorno fa. Immagino a questo punto che debba esserci qualche sostanza nel cartoncino, che abbia proprietà riducenti sul cloruro d'argento. hmmm.gif


La mia intuizione era giusta. Ho appena provato a sensibilizzare un avanzo di cartoncino per acquerelli e un normale cartoncino da disegno, con la solita procedura: immersione in una soluzione di cloruro di sodio e, dopo asciugatura, passaggio a pennello di una soluzione di nitratod'argento. Ho eseguito il tutto al lume di una candela.
Il cartoncino per acquerelli si è annerito nonostante non abbia preso luce (la luce della candela è inefficace, sia perché tenue, sia perché priva di radiazioni blu e ultraviolette, le sole cui è sensibile il cloruro d'argento). Il cartoncino da disegno è invece rimasto candido.
Deve esserci per forza qualche sostanza, credo nella gelatina usata per la collatura, che riduce chimicamente l'alogenuro. Non so però cosa. Sull'etichetta che accompagnava la confezione, c'è scritto testualmente:
"Carta per acquerelli a grana satinata da 300 g/mq prodotta a cilindro, collatura alla gelatina - 100% cotone - senza acidi - permanenza in archivio.
Debbo tornare ai cartoncini da disegno.
Enrico
perrins
Mi era balenata in testa quest'idea, mentre pensavo ai vari tipi di carta: hai mai pensato di crearla tu?
Ricordo che quando ero bambino giocavo con mio fratello a farla, partendo da ritagli di giornale! Il difetto è che si ottiene una grana spessa, un risultato poco uniforme e una carta non bianca, però forse avresti la certezza che sia (quasi) 100% carta, almeno per fare i tuoi esperimenti sulle varie sostanze.

Si procede così:
si prende la carta di giornale e la si fa a striscioline lunghe una 20ina di cm e larghe circa 1cm e le si lascia in acqua calda per mezza giornata (non ricordo il tempo consigliato, ricordo che nella fretta di farla aspettavamo anche meno di un'ora e i risultati erano pessimi, ma una volta avevo aspettato 24ore e i risultati erano davvero buoni), magari cambiando l'acqua di volta in volta. Quello che si ottiene sono fogli sottilissimi, quasi impalpabili che si attaccano alle mani.
A quel punto dovresti creare due/quattro/... strati di queste striscioline (che ormai sono quasi pezzettini) in orizzontale/verticale e lasciarle asciugare.
Ricordo che nella confezione insieme ad alcuni gadgets (tempere per colorare la carta, pennelli ecc ecc) c'era un foglio di rete in plastica abbastanza sottile ed a maglia piuttosto fitta, sulla quale si lasciava asciugare il foglio (per moooolto tempo). Non mi viene in mente cosa potresti usare in alternativa, forse una di quelle reti metalliche molto fini e sottili.

Probabilmente la mia è un'idea inutile, non credo ti venga in mente di fare il maestro cartiero, oltre allo sperimentatore fotografo, però magari nelle tue ricerche sul tipo di carta e sulla sensibilità delle soluzioni questo ti può aiutare a creare una carta "controllata", nel caso non ne trovassi una in commercio.

In alternativa mi è venuta in mente una soluzione (costosa): quei fogli che usano i ritrattisti/caricaturisti di strada: sono una base di cartoncino sulla quale è posto uno strato "peloso" tipo velluto: anche qui si vede la grana, però forse ha subito trattamente eccessivi.

Mah... le prossime idee le censuro, prometto
Riccardo S.
QUOTE(enrico @ Feb 11 2007, 10:09 PM) *

[...]
Il cartoncino per acquerelli si è annerito nonostante non abbia preso luce (la luce della candela è inefficace, sia perché tenue, sia perché priva di radiazioni blu e ultraviolette, le sole cui è sensibile il cloruro d'argento). Il cartoncino da disegno è invece rimasto candido.
[...]


Ciao Enrico,

mi stavo proprio chiedendo il motivo per cui non impressionavi i tuoi calotipi alla luce artificiale (faretti), soprattutto in caso di giornate non soleggiate, inizialmente avevo pensato al fatto che non volevi falsare l'esperimento introducendo un anacronistico faretto da studio; credo che invece il motivo sia quello appena quotato, confermi?

R.
enrico
Grazie Perrins per il tuo intervento e per i tuoi suggerimenti. Sto tornando al cartoncino da disegno e penso a quello liscio. Potrei provare con la carta da lettere (la usava Talbot). Farò qualche altro calotipo, ma sto aspettando che mi arrivi lo ioduro di potassio.

Ciao Riccardo,
grazie anche a te. Veramente ho una lampada a raggi ultravioletti e potrei usare quella. Ma, come hai intuito, per ora non voglio ottenere una immagine a tutti i costi, quanto ripetere le esperienze del passato. Per ora sto cercando di ottenere una superficie omogenea, visto che, in molte delle immagini precedenti, si notano macchie e, soprattutto, le passate del pennello. Ho capito da queste poche prove, che è necessario fotografare in pieno sole e con contrasti ben accentuati. Con lo ioduro di potassio potrò abbreviare i tempi di posa. Mi riprometto in futuro (quest'estate) di utilizzare l'acido gallico e sviluppare quindi l'immagine latente, scendendo a pose di qualche minuto. Talbot chiamava le sue prime prove "disegni fotogenici" e per la verità iniziò a chiamarli calotipi quando usò l'acido gallico. Continuò ad usare il cloruro d'argento (come sto facendo ancora io) per le copie positive che otteneva per contatto. Per i negativi di carta, usava lo ioduro d'argento. Vi saprò dire (e mostrare) la differenza. Se l'entusiasmo non si affievolisce, penso anche di costruire più in là una nuova macchina, utilizzando il vecchio obiettivo di mio padre. ed allora i risultati saranno qualitativamente ad un altro livello.
Nei libri non si parla tanto degli ostacoli e degli insuccessi. Delle innumerevoli prove, dei tentativi, delle ipotesi giuste o sbagliate che, piano piano hanno portato ai risultati che conosciamo.
Ma anche in questo è il fascino della fotografia.
Enrico
maxiclimb
Sempre interessantissima questa discussione.
Non ho suggerimenti da darti, ma ti seguo sempre con grande curiosità. smile.gif
Ormai è un appuntamento fisso. wink.gif
enrico
QUOTE(maxiclimb @ Feb 12 2007, 05:55 PM) *

Sempre interessantissima questa discussione.
Non ho suggerimenti da darti, ma ti seguo sempre con grande curiosità. smile.gif
Ormai è un appuntamento fisso. wink.gif

Grazie Maxi
Franco_
Ciao Enrico,
torno solo ora su questa discussione e vedo con grande piacere che è stata messa in evidenza Pollice.gif
giampy71_io
Anche io seguo questa discussione con estremo interesse, non sono in grado di darti nessun consiglio visto il mio grado di conoscenza quasi allo zero, però voglio vedere che risultati riesci ad ottenere:-)
enrico
Ciao Franco, ciao Giampy.
Il sapere di essere seguito nella mia sperimentazione, mi spinge a continuare senza che l'entusiasmo con cui ho cominciato si spenga.
Grazie
Enrico
enrico
Eureka!

Carissimi amici,
oggi splende un bel sole e non c'è nemmeno una nuvola in cielo. Ho prodotto il quindicesimo calotipo. E' decisamente il migliore di tutti quelli fatti fin'ora. Credo che anche Talbot ne sarebbe stato entusiasta.
Nonostante l'obiettivo artigianale e grazie alla diaframmatura f/5,6, la nitidezza è più che soddisfacente. Sono soddisfatto anche della scala dei grigi. Per la prima volta mi sono cimentato in una composizione. Si distinguono benissimo anche i due innaffiatoi:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Ho utilizzato la carta da disegno rigata, la stessa che mi aveva dato buoni risultati col sesto calotipo. Poi ho utilizzato questa procedura:
- ho bagnato la carta, usando un pennello, con acqua distillata
- ho lasciato che asciugasse parzialmente
- ho passato con cura il pennello bagnato in una soluzione di cloruro di sodio in acqua distillata (in precedenza usavo quella di rubinetto)
- ho lasciato asciugare spontaneamente per qualche minuto, poi ho dato una passata di phon
- ho passato con un altro pennello la soluzione di nitrato d'argemto
- ho lasciato asciugare per qualche minuto, poi ho completato l'asciugatura col phon.
La carta era fissata con le clip sul compensato quando era ancora asciutta. Si è un po' corrugata durante i bagni, ma è tornata a posto una volta asciugata.
Il tempo di esposizione è stato di due ore.
Un saluto
Enrico
steve74it
Spettacolo!

Stefano
davidebaroni
Spettacolare, Enrico! smile.gif

Immagino che adesso il prossimo passo sarà cercare una carta che dia risultati almeno allo stesso livello, ma senza le righe... wink.gif

Mi sembra di essere in una macchina del tempo...

Il fatto è che tu stai cercando di ripercorrere i passi di Talbot, e a me vengono in mente un sacco di esperimenti che non credo lo facciano. biggrin.gif

Seguo questa tua sperimentazione come un partecipante, se capisci cosa intendo. Non credo di essere mai stato così coinvolto in una cosa simile.

Sarà perché qui si lavora nella pratica, e non nella teoria o nella storia e basta...

Grazie di tutto cuore per questa avventura.

Davide
enrico
QUOTE(twinsouls @ Feb 15 2007, 01:52 AM) *


Mi sembra di essere in una macchina del tempo...
Seguo questa tua sperimentazione come un partecipante, se capisci cosa intendo. Non credo di essere mai stato così coinvolto in una cosa simile.
Sarà perché qui si lavora nella pratica, e non nella teoria o nella storia e basta...
Grazie di tutto cuore per questa avventura.
Davide


Grazie Davide,
sto pensando che se non avessi conosciuto questo forum e con esso così tanti amici, questa mia esperienza sarebbe stata più povera.
La consapevolezza di avere così tanti "compagni di viaggio" alimenta ed amplifica il mio entusiasmo.
Una macchina del tempo... sai che sto rileggendo un vecchio libro di mio padre (9° edizione anno 1925), di cui ho riportato, qualche post addietro, dei brani e delle immagini. E' una lettura affascinante. Non è un libro di storia della fotografia, ma non mi è mai capitato di sentirmi proiettato all'indietro, come un viaggiatore del tempo, così come leggendo quelle pagine. Vi si parla di "modernità" e di "colloidisti" che guardano con disprezzo il nuovo metodo alla gelatina che ha reso la fotografia troppo facile ed alla portata di tutti...
E' bello gustare il linguaggio ormai arcaico, con i termini propri dell'epoca, ma soprattutto osservarne le foto riprodotte. Si tratta spesso di piccole foto, poche sono a pagina intera (si tratta comunque di un libretto di piccolo formato (11 x 15 cm), foto che non hanno nulla di speciale, sono spesso foto di famiglia, in gita al mare o in montagna, foto di piazze, di vita familiare. Ed è in quelle foto che mi pare di rivivere il fascino di un mondo diverso, che pure ci appartiene perchè è la storia dei nostri padri. Vi vedo adulti e bambini nei vestiti e nelle pettinature dell'epoca. Vedendo quelle persone, cerco di immaginare cosa avranno fatto dopo lo scatto, quando sono tornate di nuovo libere dalla posa, cosa avranno fatto una volta tornate a casa. In quelle foto c'è un pezzeto di vita, fermata per un attimo e che poi è continuata lontano dal mio sguardo. Ma quei frammenti di vita esistono ancora, sono diventati eterni grazie a questa meravigliosa invenzione.
Un saluto
Enrico
enrico
Poiché non c'è sole e quindi è inutile che metta in azione la camera oscura, ho voluto provare a fare qualche passo ancora più indietro nel tempo. Ho eseguito un "disegno fotogenico", rieseguendo le primissime esperienze di Talbot, ma non solo. Agli inizi Talbot provò ad ottenere delle immagini senza ancora utilizzare la camera oscura. Nulla di originale, ripeteva anche lui esperienze di chi lo aveva preceduto:

- Schultze, scoperta la sensibilità alla luce del nitrato d'argento, incollava dei cartoncini nei quali aveva ritagliato delle lettere su delle bottiglie riempite con gesso, acido nitrico ed argento, le esponeva alla luce quindi, togliendo il cartoncino, ne ritrovava impressa nel gesso la forma. Coloro ai quali le mostrava credevano ad un trucco.

- Thomas Wedgwood utilizzava sempre il nitrato d'argento, col quale imbeveva della carta o del cuoio, per imprimervi le impronte degli oggetti che vi poneva a contatto e chiamava queste immagini "immagini solari" o "profiles". Non riuscì, a causa della bassa sensibilità del nitrato d'argento, a fissare le immagini della camera oscura.

- Ci riuscì invece Niepce, utilizzando però il cloruro d'argento, che all'epoca veniva chiamato muriato d'argento.

- Ho trovato una traduzione di una comunicazione di Talbot, inventore del processo negativo-positivo, riguardante i suoi esperimenti che oggi chiameremmo "fotogrammi":
"Nel processo fotogenico o sciagrafico - dal greco skia: ombra - se la carta è trasparente, il primo disegno può servire come oggetto, per produrre un secondo disegno, nel quale la luce e le ombre appaiono rovesciate".

Una riflessione: con l'avvento e la diffusione del digitale, i nostri nipoti sapranno che cosa significa "negativo?"

Ma ecco la mia prima sciadografia o disegno fotogenico (da carta sensibilizzata al cloruro d'argento):

IPB Immagine

IPB Immagine

Enrico
enrico
Ancora prove. La carta da disegno rigata è fin'ora la migliore che ho trovato. Devo dire che la rigatura non mi dispiace (un banding delle origini? biggrin.gif ). Ho voluto provare l'ultima procedura con altri due tipi di cartoncino già provati in precedenza, ma con risultati insoddisfacenti. Queste nuove prove mi confermano che tali supporti non sono adatti, per cui ho deciso di abbandonarli definitivamente.

1 - Cartoncino da disegno ruvido e consistente (200 grammi/mq) dal quale ho ricavato questo sedicesimo calotipo. All'inizio della ripresa c'era un bel sole ma, dopo circa una mezz'ora si sono presentate le nuvole. Sono stato costretto a togliere la macchina dopo una sola ora di esposizione.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

L'immagine è visibilmente sottoesposta. Inoltre, si nota in maniera pesante la grana irregolare della carta che causa una risoluzione molto bassa. Evidentemente la grana stessa causa un diverso assorbimento delle soluzioni sensibilizzanti. La stesa risulta comunque omogenea.

Abbandono definitivamente questo tipo di cartoncino che regalo a mia figlia che si diletta di disegno: è bravissima a far ritratti dal vero.

2 - Cartoncino da disegno liscio (220 grammi/mq). Ho ripreso, con posa di due ore e 30 minuti, un peluche delle mie figlie. Cielo splendido e splendida luce. Nessun problema quindi di esposizione. Il problema è invece nel cartoncino che, nonostante la mia massima cura nel trattarlo, ha assorbito le soluzioni in maniera irregolare. Calotipo n. 17:

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Immagine ridimensionata: clicca sull'immagine per vederla con le dimensioni originali.

Ho utilizzato ancora una volta questo cartoncino, pensando di ottenere un maggior dettaglio da una superficie liscia. Invece si è ripresentato lo stesso problema del calotipo n. 2, fatto con lo stesso materiale. Ho deciso di abbandonare definitivamente anche questo cartoncino.

3 - Mentre attendevo che trascorresse il tempo dell'esposizione del 17° calotipo, ho fatto questo "disegno fotogenico", il secondo, con la carta da disegno a righe da 120 grammi/mq che fin'ora si è mostrata la migliore. Credo che farò le successive riprese con questa, anche per aver risultati di qualità, così da trarne incoraggiamento. Poi si vedrà. Poiché Talbot utilizzava della carta da lettere di ottima qualità, ho fatto il giro delle cartolerie della mia cittadina, ma la carta da lettere è diventata preistoria. Chi l'aveva, l'aveva dello stesso materiale di quella per fotocopie. Carta da lettere, carta copiativa, nastri per macchina da scrivere, tutti oggetti da museo ohmy.gif

Secondo disegno fotogenico:

IPB Immagine

A presto
ENrico
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