QUOTE(rinux1956 @ Dec 7 2010, 07:37 PM)
Ciao "toscanaccio"!
Uno: nel prossimo messaggio, pardon lezione, sarebbe il caso che tu mettessi anche l'IBAN del tuo conto in modo che tutti noi poveri tapini ignoranti contribuissimo a rimpinguarlo per l'alto servigio divulgativo.
Due: non credo di aver ben capito il tuo concetto sopra riportato. Ma se alzo gli ASA, gli ISO - accidenti a loro! - non vado a sovraesporre?
Oppure ... oppure ... maremma infestata da' lupi! ... succede che se io raddoppio quei maledetti ASA (mi riferisco alla pellicola ovviamente) nominali, supponiamo 400, l'esposimetro per adeguarsi mi va a segnalare una coppia tempo/diaframma che paragonata a quella che avrei avuto normalmente senza modificare gli ASA, mi risulta inferiore di 1EV? Dunque la sottoesposizione della posa o delle pose. Come dire esemplificando: supponendo che nel riprendere una scena con i 400ASA normali della nostra brava pellicola l'esposimetro mi dia come lettura f/8 @ 1/250. Se vado a barare alzando in macchina gli ASA portandoli a 800, l'esposimetro, se dovessi decidere per esempio di tenere costante l'apertura, mi segnerebbe un tempo di 1/500. E' così?
Se così non fosse ... metto subito in vendita la mia D300s e mi compro un bel cavallo, anzi un somaro che mi assomigli! E mi alleno alla corsa degli asini.
Ciao,
Rino.
Uno: al circolo (ma anche da fuori, col forum!) hanno fatto la processione venendo a casa mia a vedere come uso ACR e PP ma soprattutto come stampo, e non ho mai preso una lira, dunque grazie, ma non inizio adesso, almeno sin che posso farne a meno.
Due: esposizione.
Se una pellicola ha sensibilità nominale di 400 ASA (o ISO) ed imposti l’esposimetro della fotocamera a 400 ASA, esponi per il valore nominale, e diciamo che tu hai una scena che ti dà l’accoppiata tua f8 e 1/250, scatti e poi la sviluppi ad esempio con lo sviluppo Agfa Rodinal 1+50 per 10 minuti a 20°C, una inversione della tank al minuto
Se imposti l’esposimetro della fotocamera a 800 ASA, sempre con la stessa pellicola da nominali 400 ASA, la fotocamera, su quella stessa scena, a pari diaframma, f 8 ti da un tempo di 1/500, ossia la metà del precedente: ha sottoesposto la pellicola di un diaframma.
Ricordo che raddoppiando gli ASA (o ISO) sia di una pellicola che di un esposimetro, significa aumentare la sensibilità nominale di un diaframma.
Dato che in fotocamera la pellicola è la stessa, quella con nominali 400 ASA, se imposti l’esposimetro della fotocamera ad 800 ASA, a pari diaframma, ti dimezza il tempo di esposizione: sottoesponi sistematicamente tutte le foto di un diaframma, ossia hai “tirato” la pellicola da 400 ASA nominali, a 800 ASA in pratica.
Se hai sottoesposto, i sali d’argento hanno preso meno luce e a pari tempo di sviluppo con lo stesso sviluppo, il negativo viene più “slavato, ossia cala la densità, perdendo le zone che sulla scena sono in ombra, perdi dettagli nelle ombre e si stampa male perché troppo trasparente, aumenta il contrasto ma manca densità e ti tocca usare carta più contrastata, paradossalmente, altrimenti viene tutto grigio, ma la stampa manca di scala tonale ed hai ombre tappate, stampa è uno schifo.
Se sottoesponi in pellicola, solo un diaframma con una pellicola nominale da 400 ASA, i Sali d’argento prendono meno luce, ma la prendono, l’informazione c’è ma va tirata fuori: come? Per recuperare i dettagli nelle ombre, l’informazione che è calata di più e la densità generale del negativo, si allunga lo sviluppo, e, sempre a 20°, con il Rodinal 1+50, la sviluppi anziché 10, 13 minuti, stesse inversioni: hai un negativo più denso, con i dettagli nelle ombre, ma più contrastato: è più difficile a stampare, ma se sai fare, è molto d’effetto, tonalmente un po’ penalizzato, ma con ottima sensazione di acutanza e nitidezza, su carta sempre contrastata, per tirar fuori i dettagli nelle ombre, hai stampe ottime.
IN DIGITALE NON FUNZIONA COSI’, PER NIENTE: MAI SOTTOESPORRE; se sottoesponi, smondani l’immagine e non la recuperi più: a pellicola la recuperavi, in digitale NON la recuperi più.
il segnale utile si perde prima in digitale che con la pellicola perché la curva di trasferimento della pellicola (curva caratteristica) è NON lineare, mentre la curva di trasferimento del sensore digitale è lineare e taglia brutalmente: meglio sovraesporre ma senza sfondare le luci, che sottoesporre.
Nei primi due diaframmi al di sotto della saturazione (sfondamento) delle luci c’è il 75% della scala tonale, la gran parte della fotografia, il corpo della fotografia è in due diaframmi, e se la latitudine di esposizione del sensore o gamma dinamica che dir si voglia del sensore è maggiore, meglio, leggo meglio nelle ombre, ma la maggior parte della fotografia, il corpo, tonalmente parlando, della fotografia è in un paio di diaframmi, quelli a destra dell’istogramma.
Come asserito, questo tipo di esposizione, a pelare il limite dei bianchi, con istogramma dunque spostato a destra a sfiorare la barra del clipping, è la migliore in questo mondo del digitale; ma…..perché?
Perché il pelare, senza sfondare, i bianchi fornisce la massima estensione della scala tonale ed il minimo rumore all’immagine.
Vediamo il motivo.
Un sensore medio può registrare, per sua natura tecnologica, una scala dinamica di circa 6 diaframmi, e, con i nuovi sensori, questo valore è in aumento ( D3s in testa e siamo a 11!) ma consideriamo 6, dato che non cambia nulla: se i diaframmi sno di piùsi legge un p’ meglio nelle ombre, ma cambia poco.
Considerando poi di scattare come si deve, ossia in RAW: molte fotocamere hanno una profondità di colore a 12 bit, tipo la D 90 (alcune di più, 14 bit, ma consideriamo 12 bit per semplicità di calcolo, non cambia nulla).
Un’immagine a 12 bit registra 2 alla dodicesima variazioni discrete di tono (per comodità, toni) ovvero 4096 toni per canale, dunque le combinazioni sono di più, ma lasciamo andare e consideriamo un solo canale, 12 bit, 4096 toni
Dato che la scala tonale registrabile è di 4096 toni (o grigi in B&N) ed il sensore della fotocamera può registrare l’informazione su un’ampiezza (scala dinamica) di 6 diaframmi, posso pensare di avere 4096/6 = circa 683 toni registrabili per ogni diaframma (valore di luminosità) dell’immagine, ovvero 683 toni scuri registrabili per un diaframma di variazione di luminosità nella parte più scura dell’immagine, verso il nero, e su, su fino agli stessi 683 toni chiari registrabili per l’ultimo diaframma di variazione luminosa, nella parte più chiara della fotografia, verso il bianco.
Ovvero una uniforme distribuzione di toni sui vari livelli di illuminazione (diaframmi 6 nel nostro caso, con 683 toni ciascuno) che costituiscono la nostra immagine.
NON È COSÌ !
Perché? Perché il sensore non porta a quella distribuzione, dato che la sua curva caratteristica (= l’andamento della quantità del segnale elettrico in uscita del sensore in risposta ai vari livelli delle quantità di luce incidente) è praticamente lineare, sia esso CCD o CMOS, e dato che per ogni diaframma che chiudo, la luce sul sensore dimezza, e se dimezza la luce, anche il segnale del sensore dimezza, dunque meno luce incidente, meno segnale ovvero meno toni.
Partendo dal valore disponibile di 4096 toni, tutta la luce disponibile per il sensore, e sottoesponendo di un diaframma, vicino al bianco, ovvero riducendo alla metà la luce disponibile, al primo diaframmane tocca la metà dei toni disponibili, ovvero 2048, al secondo la metà della prima metà e cosi via; abbiamo la situazione seguente, per i nostri 6 diaframmi:
Grigi chiarissimi nei toni alti, a pelare il bianco Disponibili 2048 toni
Grigi chiari 1024
Grigi medi chiari 512
Grigi medi scuri 256
Grigi scuri 128
Grigi molto scuri a pelare il nero 64
Da notare che la gamma dinamica della macchina ( i 12 bit originali, i 4096 toni) non li raggiungo mai col sensore, dato che, ovviamente, non è perfetto e taglia SEMPRE; a 12 bit i 4096 e sono un limite teorico.
Il sensore poi ha un suo rumore di fondo, più o meno costante: nelle zone chiare c’è più segnale, ci sono molti più toni, ed, a parità di rumore, il rapporto segnale/rumore è dunque migliore; nelle zone scure, con molto meno segnale, molti meno toni, il rapporto segnale rumore è molto più basso, peggiore; in pratica c’è molto meno rumore sui grigi chiari che sui grigi scuri, come tutti sappiamo, e questa è la motivazione.
A parte i conticini, alla luce delle nuove informazioni di cui sopra vediamo cosa succede, le conseguenze pratiche relative all’esposizione:
- l’esposizione giusta, quella che dà la migliore scala tonale, deve “pelare” i bianchi, senza sfondarli, per utilizzare tutta la gamma dinamica disponibile prima di bruciarli, lì vicino, in quella parte di esposizione a luce chiara il sensore ci lavora meglio e ci registra più toni a parità di quantità disponibile di luce.
- Perché è quella giusta?
Perché se espongo e:
- non uso un diaframma in basso, l’ultimo, verso il nero, ovvero espongo con istogramma spostato a destra, perdo solo 64 toni
- non uso quello in alto, il primo, ovvero espongo con istogramma spostato a sinistra, perdo 2048 toni: ho perso la METÀ della gamma tonale disponibile, mentre verso il nero sono solo 64, un’inezia.
- la foto, vista in RAW appare chiarina, ma e’ normale, e le ombre sono più aperte, facilitando il lavoro di fotoritocco.
- dato che in quella condizione di esposizione, istogramma che pela a destra, l’immagine è globalmente più chiara, ed il rapporto segnale/rumore del sensore è più alto per toni chiari, in quella condizione abbiamo anche il minimo contenuto di rumore nella fotografia.
Altre importanti implicanze pratiche:
- Dobbiamo scurire quell’immagine un po’ chiarina, convertendo il RAW in TIFF, dobbiamo togliere quel poco di luminosità in più, ma la riduzione di luminosità va fatta in RAW, lavorando col programma di conversione (Capture NX2, o altro che sia) , utilizzando i regoli di luminosità e contrasto, riportando l’immagine nella norma e mantenendo al meglio la gamma tonale, e NON sul TIFF con Photoshop, dopo la conversione, dato che così taglio gamma tonale, soprattutto lavorando a 8 bit.
- Ma nulla…. viene gratis! Con questa esposizione abbondante, in pratica, ahimè, è come abbassare un pochino gli ISO ai quali si lavora: se c’è poca luce, si va in crisi e non merita certo andare a fare una foto mossa o con poco campo a fuoco per avere un po’ meno rumore ed un po’ più di toni
Però……In digitale, uno scatto, due, tre in più sono gratis ( mentre con le diapositive buone mi veniva il magone!): provate a scattare con leggera variazione di esposizione, se avete tempo e modo, cercando di spostare a destra l’istogramma, a pelare lo sfondamento, e, se fate le cose per bene, un pochino di miglioramento lo vedrete.
Il problema che si sente tanto dire in giro, il luogo comune, che il digitale di piccolo formato, il nostro, dà immagini “piatte” è verissimo, e proviene da lontano.
Le immagini tridimensionali, piene, belle, le dà l’elevata estensione della gamma tonale e la colpa di avere immagini piatte è poco imputabile al sensore, almeno di quelli di ultima generazione, mentre è molto imputabile al fotografo ed il motivo sostanzialmente è uno solo: una procurata perdita di gamma tonale, per ignoranza od incuria.
Perché:
- abituato alla pellicola, il fotografo espone male, non usa tutta la dinamica del sensore e perde proprio la parte percentualmente rilevante: se una foto a colori veniva chiara in pellicola, la buttavi via, mentre adesso la DEVI farla chiarina per poi recuperarla, dopo, per avere massima qualità, ma molti non lo hanno capito e guai a scattare chiarino.
- lavora in JPEG od a 8 bit, dato che le prime macchinette quello avevano, non di più, e, per ignoranza, continua su quella strada, tagliando ancor di più quello che ha già tagliato in ripresa.
- stampa lui con settaggi errati di carta, stampante etc, altri tagli.
- i laboratori normali non lavorano in TIFF e 16 bit, perché dovrebbero avere PC e stampanti buone e costose, e soprattutto dovrebbero aver personale esperto, mettere maggior cura nella stampa, e non ci pensano nemmeno: tagliano in JPEG ed 8 bit, tanto nessuno vede nulla.
Si può fare meglio, ma…… “nessuno nasce imparato”!
Sperando di essere stato almeno chiaro, se non utile, per qualcuno, anche pochi, saluti cordiali